Il drammaturgo e l’Auto-Memories Doll

Parte 2

Il secondo giorno, i due si sedettero nello studio ed iniziarono a lavorare. Oscar giaceva sul suo letto mentre Violet era seduta su una sedia pronta ad utilizzare la macchina da scrivere sulla scrivania.

«Lei... disse,» come dettato, batté silenziosamente ogni singola lettera ad una velocità terrificante senza nemmeno guardare la tastiera. L’uomo la osservò, completamente rapito. «Molto... veloce, eh.»

Dopo il complimento, Violet rimosse uno dei guanti neri che arrivavano fino alle maniche, e mostrò una delle sue braccia. Era metallica. Le dita sembravano essere ancora più rigide e robotiche rispetto alle sue altre parti.

«Sono assunta da un’agenzia che assicura ai propri clienti l’eccellenza. Questi sono gli standard della Esterk Company. I miei livelli di resistenza alla fatica sono elevati e mi è possibile compiere movimenti e sforzi che, normalmente, un corpo umano non sarebbe in grado di sostenere, il che è molto affascinante. Posso registrare qualsiasi sua parola senza omissioni.»

«È così? Ah, ecco… non devi scrivere quello che ho appena detto, ma solo le parole significative per la sceneggiatura.»

Oscar continuò a dettare. Anche se fecero numerose pause, il primo giorno effettivo di lavoro procedette egregiamente. Dopotutto, l’idea della storia l’aveva già memorizzata, ma non era stato in grado di scriverla da nessuna parte.

Mentre parlava, si rese conto di quanto Violet fosse una buona ascoltatrice ed un’ottima amanuense. Era sembrata professionale fin dall’inizio e, durante il lavoro, questo suo aspetto era ancora più evidente. Anche se non lo aveva richiesto, non riusciva a sentirla respirare. Si udiva solo il tintinnio della macchina da scrivere. Quando distoglieva lo sguardo aveva come l’impressione che quest’ultima stesse scrivendo da sola. Ogni volta che le chiedeva fino a dove fosse arrivata, lei lo rileggeva. La sua voce calma, abbinata a un’ottima recitazione, era affascinante da ascoltare. Con lei come narratrice, tutto sembrava un solenne racconto di fantasia.

«Capisco, è ovvio che siano diventate popolari.»

Oscar fu in grado di assistere di persona alla grandezza delle Auto-Memories Doll. Tuttavia, sebbene le cose fossero andate bene fino al terzo giorno, dal quarto in poi ci fu un periodo di “blocco dello scrittore”. Era qualcosa di comune tra gli autori: c’erano volte in cui si sapeva già quali contenuti scrivere, ma mancavano le parole giuste.

Grazie ai suoi molti anni di esperienza aveva sviluppato un metodo per far fronte a tale problematica. Evitava di scrivere. Aveva capito, infatti, che sforzarsi, non avrebbe portato a nulla di buono e, anche se si sentiva male per Violet, dovette lasciarla in attesa. Per non farla rimanere pigramente ferma, le chiese di dedicarsi alle pulizie, al bucato e alla preparazione dei pasti. Ovviamente, era animata dalla sua predisposizione naturale ad essere una gran lavoratrice.

Era passato molto tempo da quando aveva mangiato un pasto caldo fumante preparato da qualcuno. Ordinava da asporto e mangiava fuori, ma i pasti che aveva cucinato per sé stesso durante i periodi in cui era preso dal lavoro erano ben diversi da quello.

Omurice avvolta da un manto d’uova che si scioglieva cremosamente in bocca. Hamburger di tofu preparato seguendo una ricetta dall’est. Un pilaf di prim’ordine con verdure colorate disposte su del riso e unite insieme da una salsa speziata. Gratin con frutti di mare, difficili da trovare in un territorio circondato dalle montagne. Come contorni, erano servite sempre insalate e zuppe sul cui metodo di preparazione Oscar si interrogava di volta in volta. Tutto ciò lo commuoveva un po’.

Mentre mangiava, Violet guardava senza assaggiare nulla. Non si muoveva durante i pasti. Avrebbe mangiato più tardi. Era stato confermato che potesse ingerire liquidi ma, probabilmente, non poteva mangiare nulla di solido. Beveva olio di nascosto? Mentre cercava di immaginare la scena, gli venne in mente un’immagine surreale.

Non ci sarebbero problemi... se mangiassimo insieme. Pensò malinconicamente, senza dirlo ad alta voce.

Era completamente diversa da sua moglie, ma qualcosa nella sagoma della sua schiena, mentre cucinava, gli trasmetteva una sensazione familiare. Mentre la osservava, per qualche ragione, veniva assalito da una gran tristezza e gli angoli dei suoi occhi diventavano caldi. Capì terribilmente bene cosa volesse dire far entrare un estraneo nella propria routine.

Quindi… la vita che ho vissuto finora era davvero solitaria.

L’euforia nel vedere Violet tornare a casa da una commissione. Il sollievo nel sapere che non era solo quando si addormentava la notte. La consapevolezza che ci sarebbe stata quando avrebbe riaperto gli occhi, anche senza far nulla. Tutto ciò rese Oscar consapevole di quanto fosse solitario.

In tutta la sua vita, non aveva mai avuto problemi monetari o economici. Tuttavia, quello non era altro che uno scudo psicologico per addolcire la realtà ed impedire al suo cuore di indurirsi maggiormente. Non poteva curare le sue ferite. Ma l’emozione di avere qualcuno al proprio fianco di cui non si sa nulla, fatta eccezione per l’indole, e ritrovarsela al proprio risveglio nello stesso posto in cui la si era lasciata, fece breccia nel cuore di Oscar, solo e chiuso al mondo da fin troppo tempo.

L’arrivo di Violet era stato come un’increspatura sull’acqua. Un piccolo cambiamento in un lago immobile. Le uniche cose catturate da quel flusso sarebbero state insignificanti sassolini, ma per una vita insipida come la sua era stata una grande trasformazione, proprio come per un lago senza vento.

Era stato un cambiamento positivo o negativo? Se avesse dovuto scegliere avrebbe detto che era stato bello. Almeno, le lacrime che traboccavano dal dolore che provava quando lei era nei paraggi erano molto più calde di tutte quelle che aveva versato fino a quel momento.

Dopo altri tre giorni si riprese. Aveva trovato l’ispirazione per una scena specifica.

La storia che stava facendo scrivere parlava delle avventure di una ragazzina solitaria. Quella ragazza, che aveva lasciato casa, visitava molte terre, entrava in contatto con molte persone e assisteva a numerosi eventi, maturando nel mentre. L’ispirazione per quella ragazza era sua figlia malata.

Alla fine del racconto ritornava proprio alla casa che aveva abbandonato. Il padre che l’aveva aspettata lì non sarebbe riuscito a riconoscerla perché cambiata troppo. Rattristata, lei lo avrebbe implorato di ricordare, riportandogli alla mente la promessa che si erano scambiati in passato: provare ad attraversare il lago vicino casa camminando sulle foglie adagiate all’acqua.

«Gli umani non possono camminare sull’acqua.»

«Voglio solo l’immagine. Farò in modo che la ragazza sia assistita dalla benedizione ricevuta da uno spirito acquatico nel mezzo della sua avventura.»

«Anche così, non sono tagliata per questa parte. La ragazza della storia è vivace, innocente ed affettuosa. È completamente diversa da me.» Sostenne la Auto-Memories Doll.

Oscar fece indossare a Violet degli abiti che imitavano il suo personaggio principale e le chiese di giocare un po’ in riva al lago. L’aveva già costretta a fare le pulizie, il bucato e le altre faccende domestiche, e pretendeva anche un altro favore. Era diventata una factotum.

Anche se era una donna professionale ed acuta, rifletté sorpresa: «Che persona problematica...»

«Il colore dei tuoi capelli... forse è un po’ diverso, ma è biondo, proprio come lo erano quelli di mia figlia. Se indossassi un completo, sicuramente…»

«Sono un amanuense. Una Auto-Memories Doll. Non sono sua moglie o la sua concubina. Né posso diventare la sostituta di qualcuno.»

«L-Lo so. Non ho quel tipo di interessi per una ragazza come te. È solo che… il tuo aspetto… se mia figlia fosse viva... credo che sarebbe diventata come te.»

Il duro rifiuto di Violet si sbriciolò dinanzi a tale affermazione. «Pensavo che fosse solo un po’ testardo… sua figlia è morta?» si morse leggermente il labbro. Il suo volto sembrava dimostrare quanto la sua coscienza fosse in conflitto.

Durante quei pochi giorni, Oscar era riuscito a capire una cosa su di lei. Quando veniva lacerata da una scelta fra bene e male, Violet sceglieva ciò che era considerato “giusto”.

«Sono una Auto-Memories Doll... Voglio esaudire i desideri dei miei clienti... ma questo viola le mie disposizioni lavorative…»

Sembrava come se stesse lottando interiormente e, sebbene Oscar si sentisse in colpa, provò un’ultima volta. «Se tu riuscissi a ricostruire l’immagine della ragazza cresciuta, pronta a tornare a casa e a mantenere la sua promessa, riaccenderai il mio desiderio di scrivere. Hai ragione. Se vuoi una ricompensa, posso offrirti qualsiasi cosa. Posso pagarti il doppio. Questa storia è davvero preziosa per me. Voglio terminarla e renderla la pietra miliare della mia esistenza. Ti supplico.»

«Ma... io... non sono una bambola...»

«Non scatterò foto o cose del genere.»

«Ne è sicuro?»

«Ti prego. La terrò impressa nella mia mente e, solo con quell’immagine, scriverò la storia.»

Violet ci pensò su imbronciata e finì con l’obbedirgli, soccombendo all’insistenza di Oscar. Forse, era il classico tipo che si indeboliva sotto pressione.

L’uomo si gettò alle spalle la sua vita da recluso, uscì da solo e le comprò abiti eleganti ed un ombrello. L’outfit consisteva in una camicetta di pizzo bianco con una cintura a nastro sopra un completo blu. L’ombrello, color ciano e bianco, era abbondante di fronzoli. Sembrava suscitare l’interesse di Violet mentre lo rigirava ripetutamente aprendolo e chiudendolo.

«Ha qualcosa che non va?»

«È la prima volta che ne vedo uno così grazioso.»

«Non stai indossando abiti carini? Non rispecchiano forse i tuoi gusti?»

«Indossiamo solo quello che ci indicano i piani alti dell’azienda. Io stessa visito raramente i negozi d’abbigliamento.»

Sembrava proprio una bambina vestita come suggerito dalla madre.

Forse... è molto più giovane di quanto lei stessa creda di essere.

Ripensandoci, indipendentemente dal suo aspetto da adulta, assomigliava lievemente a una bambina. Dato che Violet era ancora indecisa, una volta terminato lo shopping, Oscar non perse tempo e le chiese di cambiarsi.

Era tardo pomeriggio e fuori c’erano un po’ di nuvole. Non sembrava voler piovere, ma l’atmosfera lo lasciava intendere. L’aria fresca dava la sensazione che l’autunno stesse arrivando, ma non faceva ancora abbastanza freddo da sentirsi pungere la pelle.

Era stato il primo ad uscire. Fumando la pipa si era seduto su una sedia di legno vicino al lago. Poiché si era preso cura di sé ed aveva smesso di fumare da quando la ragazza era arrivata, la sensazione del fumo che gli attraversava i polmoni era intensa.

Il fumo si disperse nell’aria nei minuti successivi. Poi, la porta d’ingresso si aprì stridendo con rantoli sempre più sordi.

«Mi scusi per l’attesa.»

Si girò solo con la testa sentendo quella voce fredda. «Tu…»

«...non mi hai fatto aspettare molto» era quello che avrebbe voluto dire, ma le parole non volevano uscire ed il suo respiro si fermò per qualche istante. Deglutì con un sussulto, confuso, come la prima volta che l’aveva vista.

Era bellissima con i capelli sciolti: una bellezza che rubava la scena a tutto il resto. I capelli, una volta intrecciati, si diffondevano graziosamente con le loro estremità leggermente affusolate. Erano più lunghi di quanto avesse immaginato. Ma, soprattutto…

Se mia figlia fosse cresciuta... sarebbe diventata così.

Voleva mostrargli com’era vestita? Mentre si interrogava a tal proposito, il calore gli inondò il petto.

«L’immagine di me che indosso gli abiti che mi ha donato la soddisfa?» Nel cuore del mondo dei colori autunnali, quella ragazza di straordinaria bellezza afferrò la gonna e provò a fare una giravolta. «Devo solo dare l’impressione di stare attraversando quel lago, giusto? È questo il tipo di  scena che voleva scrivere? Piuttosto che camminare, anche se solo per pochi secondi, sarebbe meglio se effettivamente attraversassi il lago. Ci penso io. Sono specializzata in attività fisiche e, anche se solo per un istante, potrò essere all’altezza delle sue aspettative.» Spiegò inespressiva ed indifferentemente come non mai e senza badare ad Oscar, sopraffatto dalle troppe emozioni ed incapace di rispondere se non con dei mugugni.

­­­­­­*

Quell’essere in piedi dinanzi a lui era totalmente diverso dalla figlia. Nonostante possedesse gli stessi capelli dorati, nelle sue iridi mancava quel dolce bagliore.

Violet appoggiò l’ombrello chiuso contro la spalla mentre lo stringeva saldamente. Si fermò distante dal lago, fissandolo come se stesse esaminando la superficie dell’acqua. Tinte dai colori morenti dell’autunno, le foglie vi galleggiavano sospese.

Il vento era mutevole, soffiava, si fermava, soffiava, si fermava. Oscar la osservava preoccupato nel vederla leccarsi una delle sue dita meccaniche con la punta della lingua e controllare la direzione del vento. Mentre indietreggiava, lo guardò e gli rivolse un timido sorriso.

«Non si preoccupi. Sarà tutto come desidera.» dopo averlo rassicurato con una voce dolce e cristallina, scattò. Sebbene fosse stata lontana da lui, in un attimo, lo raggiunse ad una tale velocità da sembrare il vento stesso.

Prima di saltare sul lago, l’Auto-Memories Doll calciò con forza il suolo. L’impatto fu così forte da scuotere il terreno. Le sue resistenti gambe le diedero la possibilità di sollevarsi ad un’altezza spaventosa. Sembrava quasi che fosse in procinto di raggiungere il paradiso. Oscar era a bocca aperta dinanzi a quell’azione sovrumana.

Da quel momento in poi, tutto sembrò susseguirsi al rallentatore. Raggiunto il punto più alto, Violet sollevò l’ombrello e lo aprì. Sembrava un bocciolo in fioritura. I fronzoli ondeggiavano meravigliosamente e, come a prevedere il momento perfetto, il vento spinse i suoi piedi in avanti. La sua gonna e l’ombrello si gonfiarono dolcemente nell’aria lasciando sporgere la sottoveste. I suoi lunghi stivali a maglia camminarono delicatamente sulle foglie appassite che galleggiavano in superficie.

Quell’istante. Quel secondo. Quella singola immagine. Quella scena fu incisa nella memoria dell’uomo, chiara come una fotografia. Una ragazza con un ombrello ed una gonna svolazzanti, che calpestava la superficie di un lago, proprio come per magia.

Le parole della figlia, pronunciate il giorno in cui i battiti del suo cuore si erano fermati, gli tornarono alla mente.

«Un giorno…»

«Me lo mostrerai un giorno, vero? Sul lago vicino casa nostra, quando le foglie che cadono in autunno si accumulano in superficie.»

«Un giorno... Papà, un giorno te lo mostrerò.» 

Una voce... la voce di quella bambina che aveva dimenticato, riverberò nella sua mente.

 Non lo sapevi? Volevo che continuassi a chiamarmi, centinaia di volte e anche di più.

«Me lo mostrerai un giorno, vero?»

«Papà.»  disse una voce dolce e con un leggero difetto di pronuncia «Un giorno te lo mostrerò, papà.»

La tua voce era confortante da ascoltare più di quella di qualunque altra.

«Un giorno te lo mostrerò.»

È vero. Tu, con quella vocina, mi intrattenevi con la tua innocenza. Non mi avevi rivolto quelle parole? Avevamo stretto una promessa. L’avevo dimenticata. Avevo dimenticato tutto. Per molto tempo, non sono riuscito a ricordarti nel modo giusto. Sono contento di poterti riabbracciare. Anche come illusione, sono felice di averti incontrato. Mia gentile signorina. Mia, mia. Il mio tesoro condiviso con la persona a me più preziosa. Sapevo... che sicuramente non poteva essere realizzato. Eppure, avevamo fatto una promessa. Quella promessa, la tua morte... mi hanno distrutto mentre mi costringevo a sopravvivere. Fino ad oggi, ho continuato a trascinarmi attraverso la vita. Ho vissuto in modo confuso cercando le tue tracce. Ero frustrato, ma questo momento... il momento in cui uno sconosciuto ti ha riportato nella mia mente... è stato un istante, un incontro fortuito, un’occasione, un abbraccio. Volevo vederlo pensando che mi avrebbe fatto tornare la voglia di vivere. Tu, il cui nome non posso nemmeno sussurrare senza venire assalito dalla tristezza. Volevo... avrei voluto vedere quella tua gentilezza ancora una volta. L’ultimo membro della famiglia che mi era rimasto. Sempre, sempre... ho sempre voluto vederti. Ti ho sempre amata.

Era così felice che voleva sorridere, eppure…

«Fu... uh... uh…»

...uscirono solo singhiozzi. Le lacrime scorrevano come per cercare di far tornare Oscar al presente.

«Ah... Cavolo…»

Poteva sentire il ticchettio di un orologio. Il suono del suo cuore gelido che iniziava a battere.

«Io davvero, davvero…»

Mentre si copriva il viso con le mani, si rese conto di quanto fossero diventate sgradevoli. Da quanto il suo tempo si era fermato dopo che le sue amate erano decedute?

 «...volevo che tu... non... morissi...» il suo volto era distorto mentre mormorava con voce spezzata, «Volevo che vivessi... vivessi... crescessi... tanto…»

Volevo che mi mostrassi quanto saresti diventata bella. Volevo vederti così. E dopo, solamente morire. Prima di te. Prima di te, dopo averti accudita. Voluto morire. Non... accudirti… in quel modo. Non così.

«Voglio vederti…»

Le lacrime di Oscar uscirono dai suoi occhi e gli solcarono le guance, gocciolando a terra. Il suono di Violet che usciva dal lago echeggiava nel suo mondo di dolore. Il momento del bagliore era scomparso e la voce di sua figlia, che aveva finalmente ricordato, fu presto dimenticata. Anche l’illusione di una faccia sorridente scomparve come bolle di sapone.

Si negò il campo visivo con le sue stesse mani e chiuse gli occhi. Respingeva il mondo a cui non apparteneva più.

Potrei morire anche in questo momento. Non importa quanto tempo io trascorra in lutto. Loro non torneranno. Cuore, respiro, fermatevi. Da quando mia moglie e mia figlia mi hanno abbandonato, mi sento come se fossi morto anch’io. Ecco perché, ora... proprio ora, in questo esatto momento... vorrei accasciarmi al suolo privo di vita. Come i fiori, che non possono continuare a respirare se i loro petali cadono.

Implorò, ma anche se avesse espresso quel desiderio diverse centinaia di milioni di volte, nulla sarebbe cambiato. Lo aveva espresso così tante volte che lo sapeva fin troppo bene.

Fammi morire, fammi morire, fammi morire. Se l’unica opzione è vivere nella solitudine, lascia che muoia con loro.

Per quanto supplicasse, nulla si avverò. Nulla si era mai avverato, ma…

«Oscar!»

Nel mondo che ignorava, poteva sentire la voce di qualcuno il cui tempo non era stagnate come il suo che, a fatica, trovò la strada per raggiungerlo.

Sono... vivo.

Era vivo. E, mentre ci provava, stava disperatamente cercando di scomparire, proprio come i suoi cari avevano fatto. Non era una preghiera a cui sarebbe stata data una risposta, ma con lo sguardo avvolto nell’oscurità, dove nessuno spiraglio di luce sarebbe mai riuscito a penetrare, lui supplicava.

«Dio, ti scongiuro…»

Se non dovessi morire, lascia almeno che mia figlia possa essere felice in questa sceneggiatura. Che possa esserne soddisfatta. Ed al mio fianco. Possa lei essere... al mio fianco per sempre. Anche se solo dentro una storia. Anche se solo come una ragazzina immaginaria. Sii al mio fianco.

 Non poteva fare a meno di desiderarlo. Dopotutto, la sua vita sarebbe andata avanti.

Di fronte a Oscar, che piangeva senza preoccuparsi della sua età, arrivò Violet, fradicia dell’acqua del lago. Gocce piovevano dai suoi vestiti disordinati, adesso logori. Eppure, con quello che si sarebbe potuto considerare un sorriso, aveva l’espressione più gioiosa fra quelle mostrate fino ad allora.

«Ha visto? Sono riuscita a fare tre passi.»

Senza rivelare di essere incapace di vedere attraverso le lacrime, Oscar rispose mentre inspirava col naso che colava: «Sì. Grazie, Violet Evergarden.» Dimostrò tutta la sua gratitudine ed il suo rispetto in quelle parole.

Grazie per averlo reso possibile. Grazie. È stato un miracolo.

Non sapeva se Dio esistesse o meno, ma nel caso in cui fosse realmente esistito, sarebbe stata sicuramente lei. Violet si limitò a: «Sono una Auto-Memories Doll.» senza negare né confermare l’esistenza di Dio.

In seguito, Oscar preparò un bagno caldo per Violet, che era completamente fradicia.

Non partecipava ai pasti, ma usava i servizi tutti i giorni e, probabilmente, riposava nella stanza che le era stata assegnata. Aveva degli atteggiamenti molto umani per essere una bambola meccanica.

Incredibile. La civiltà è sorprendente al giorno d’oggi. Lo sviluppo della scienza è notevole.

Pur essendo una bambola, non poteva esser lasciata con i vestiti bagnati e, poiché doveva cambiarsi, avvolse il suo corpo perfetto in un accappatoio e si diresse al bagno. Era passato un po’ di tempo da quando qualcuno che non fosse stato Oscar lo usasse quindi, in un momento di distrazione, entrò e finì per vederla mentre era nuda.

«Ah, scu... sa... eh?»

Trattenne il respiro per la sorpresa.

«Cosa?!»

Ciò che si riflesse nei suoi occhi fu uno spettacolo affascinante. Capelli dorati gocciolanti. Meravigliosi occhi blu di una profondità che non avrebbe sfigurato nemmeno all’interno di un dipinto e, sotto di essi, delle labbra finemente modellate. Un corpo carnoso con un collo sottile, una clavicola degna di nota, un seno rotondo e curve femminili.

Le sue braccia artificiali consistevano in protesi metalliche che, partendo dalle spalle, raggiungevano la punta delle dita. Ma finiva lì. Nonostante i molti graffi, oltre alle braccia, il resto era sorprendentemente pelle vera. Con quel corpo delicato non sembrava affatto una bambola meccanica, ma un essere umano relativamente normale.

Lo sceneggiatore era stato travolto da quella scioccante rivelazione e stava confermando ciò che aveva più volte notato.

«Oscar.» Violet lo chiamò con una voce quasi accusatoria mentre continuava a guardarla stupito.

«AAAAAAH! AAAAAH! AAAAAAAAAAH!»

Parte del risultato di quell’incidente furono le urla di Oscar. L’altra, le sue lacrime mentre diventava rosso barbabietola. Dopo aver urlato freneticamente, chiese: «Sei umana?!»

Avvolgendosi attorno un asciugamano, Violet commentò semplicemente: «Lei è davvero una persona problematica.» mormorò con il viso leggermente rivolto verso il basso e con le guance che arrossivano.

Auto-Memories Doll

Era passato molto tempo da quando questo nome era diventato popolare.

Il creatore delle Auto-Memories Doll era un ricercatore di bambole meccaniche, il professor Orlando. Tutto ebbe inizio quando sua moglie Molly, una scrittrice, perse la vista. Diventata cieca, cadde in una profonda depressione dovuta all’impossibilità di scrivere romanzi (qualcosa che aveva fatto per quasi tutta la vita) e, più passavano i giorni, più diventava debole. Incapace di sopportare la vista della moglie in quello stato, il professor Orlando costruì il primo modello di Auto-Memories. Era stata pensata per registrare tutto ciò che una voce umana avesse detto: in altre parole, la macchina fungeva da “amanuense”.

In seguito, alcune delle opere di Molly vinsero premi letterari in tutto il mondo e l’invenzione del professor Orlando divenne nota come necessaria per il corso della storia. Sebbene avesse solo intenzione di crearne una per la sua amata, in seguito divenne conosciuta grazie al supporto di un gran numero di persone.

Attualmente, le Auto-Memories Doll sono vendute ad un prezzo ragionevolmente basso e sono presenti anche modelli che possono essere affittati o noleggiati.

Tuttavia, questi ultimi sono semplici amanuensi che possiedono caratteristiche simili alle Auto-Memories Doll anche se ci si riferisce ad essi con lo stesso nome.

Dopo aver salutato Violet, Oscar venne a sapere attraverso il suo amico che lei era famosa nel settore. Quando quest’ultimo scoprì che Oscar l’aveva scambiata per una vera bambola, si lasciò andare ad una risata odiosa e divertita. «Tu vivi in una caverna! Pensavi davvero che potesse esistere una macchina così carina?»

«Avevi detto che era una bambola meccanica...»

«Attualmente, l’evoluzione tecnologia umana non ha ancora raggiunto quel livello. Ci sono vere bambole meccaniche, certo. Alcune graziose. Ma ho solo... pensato che lei sarebbe stata una buona medicina per qualcuno come te, un recluso che non interagisce con la gente. Quella ragazza... non parla molto, ma ha il potere di rimettere in sesto le persone. È stata utile, vero?»

«Si.»

Era molto tranquilla, ma sì, era davvero una brava ragazza.

«Nessuno batte Violet Evergarden, ma la prossima volta, per farti avere un assistente permanente, ti assegnerò un amanuense che non è un mezzo essere umano.»

Alla fine, un pacco fu consegnato a casa di Oscar. Conteneva una piccola bambola completamente diversa da Violet. Era una bambola meccanica pensata per registrare, grazie alla sua macchina da scrivere, ogni parola detta e, con addosso un bel vestitino, sarebbe rimasta seduta sulla sua scrivania.

Capisco. È straordinario.

«Ma non c’è paragone...» sorrise ironicamente, guardando la stanza che aveva prestato alla ragazza che ora non c’era più. Se le avesse detto che si sarebbe sentito solo, sapeva esattamente come avrebbe risposto.

«Lei è davvero una persona problematica.» riecheggiò una voce dolce la cui proprietaria parlava senza espressione, con solo gli angoli delle labbra che si arricciavano leggermente verso l’alto.

Anche senza di lei in quella stanza, aveva la sensazione di poterla sentire.