La ragazza e la Auto-Memories Doll
Parte 1
Ricordo.
Che venne una giovane donna.
Seduta lì, in silenzio, scriveva lettere.
Ricordo.
La figura di quella persona... e di mia madre, così gentile e sorridente.
Quello spettacolo... sicuramente...
Non lo dimenticherò nemmeno in punto di morte.
L’amanuense è una professione che esiste fin dai tempi antichi. Aveva vissuto un momento critico con la diffusione delle Auto-Memories Doll, tuttavia professioni come questa, dalla grande tradizione, erano amate e protette da un numero non indifferente di persone. Era stato proprio l’aumento della domanda di bambole amanuensi a spingere i nostalgici hobbisti a sostenere che fosse preferibile mantenere il fascino dei lavori vecchio stampo.
La madre di Ann Magnolia era una di quelle persone con incantevoli gusti all’antica. Proveniva da una famiglia benestante e, proprio come la figlia, aveva degli ondulati capelli scuri, lentiggini ed un corpo snello. Era stata cresciuta per essere una donna d'élite, si era sposata e, anche nella maturità, qualcosa dentro di lei ricordava ancora una giovane dama. Il dolce sorriso che mostrava ogni volta che scatenava una delle sue risate era indescrivibile per chiunque la vedesse. Ripensando al passato e a come fosse sua madre, Ann era convinta che fosse una bambina. Era energica, nonostante fosse una persona goffa, e ogni volta che avesse affermato con entusiasmo: «Voglio provare questa cosa!», Ann avrebbe replicato: «No, di nuovo?»
Amava le gite in barca e le corse dei cani, nonché le composizioni floreali orientali che potevano trovarsi nelle trapunte patchwork. Amava imparare ed aveva un forte lato da hobbista; se andava a teatro, era sicuramente per guardare commedie romantiche. Era appassionata di laccetti e nastrini, i suoi abiti e completi, per lo più, erano simili a quelli delle principesse delle fiabe. Li aveva imposti anche a sua figlia, perché credeva che genitori e figli dovessero avere abiti abbinati. Ann a volte si era chiesta cosa passasse in testa a sua madre per indossare quei nastrini alla sua età, ma mai una volta lo disse ad alta voce.
Amava sua madre più di chiunque altro al mondo, persino più della sua stessa esistenza. Sebbene fosse solo una bambina, credeva di essere l'unica in grado di proteggerla, anche se non era affatto una persona forte. L’amava ciecamente.
Nel momento in cui sua madre si ammalò e la data della sua morte cominciò ad avvicinarsi, Ann ebbe il suo primo incontro con una Auto-Memories Doll. Per quanto avesse innumerevoli ricordi con la madre, quelli più vividi erano sempre i giorni in cui avevano accolto quella misteriosa visitatrice.
Lei, si era presentata in una giornata molto limpida. La strada era bagnata da abbondanti raggi solari primaverili. Accanto ad essa, i fiori che avevano iniziato a sbocciare dopo il disgelo venivano cullati da un vento debole e le loro estremità si agitavano. Dal giardino di casa, Ann osservò il modo in cui lei camminava.
La madre aveva ereditato dalla sua famiglia la parte superiore di un vecchio ma elegante edificio dall’architettura occidentale. Con le sue pareti bianche e le tegole blu, circondato da enormi alberi di betulla, il posto somigliava a un'illustrazione tratta da un libro per bambini. La residenza si trovava in periferia, costruita in un luogo appartato e abbastanza lontano dalla città. Guardandosi attorno non si riusciva a scorgere altre case. Ecco perché, quando arrivavano ospiti, venivano facilmente avvistati dalle finestre.
«Cos’è... quella?»
Vestita con un grembiule con un grosso fiocco azzurro a righe, Ann aveva un aspetto un po' ordinario ma grazioso. Da quanto erano spalancati, sembrava che i suoi occhi marrone scuro le saltassero fuori dalle orbite. Scollò le pupille da quella figura mentre la vedeva dirigersi verso di lei sotto la luce del sole e, con le sue scarpe smaltate, si precipitò fuori dal giardino tornando a casa. Oltrepassò l'enorme ingresso principale, salì la scala a chiocciola piena di ritratti di famiglia e aprì una porta decorata con una ghirlanda di rose rosa.
«Mamma!»
Mentre la figlia inspirava a fatica, la madre ripeté, sollevando un po' il corpo dal letto: «Ann, non ti dico sempre che devi bussare prima di entrare nella stanza di qualcuno? E, soprattutto, dovresti chiedere il permesso.»
Dopo il rimprovero, Ann lasciò uscire un infastidito "uh" nella sua testa e si inchinò in profonde scuse con le mani che si strinsero attorno all’orlo della gonna. Quell’azione la fece sembrare proprio come una dama a tutti gli effetti. A dire il vero, Ann era solo una bambina. Non erano passati più di sette anni dalla sua nascita. Gli arti e il viso apparivano ancora morbidi.
«Mamma, scusami.»
«Molto bene. Allora, cos’è successo? Hai trovato di nuovo qualche strano insetto? Non mostrarlo a tua madre, va bene?»
«Non è un insetto! È una bambola che cammina! Beh, in realtà è davvero grande per essere una bambola e sembra una di quelle di porcellana della collezione di foto che ti piace tanto.» Con il suo vocabolario limitato, Ann parlava come se avesse un attacco di tosse. La madre fece schioccare la lingua «Tsk. Tsk».
«Intendi una giovane bambola, vero?»
«Dai, mamma!»
«Sei una Magnolia. Le tue parole dovrebbero essere più posate. Allora, un’altra volta.»
Sbuffando, Ann corresse con riluttanza, «Una giovane bambola stava camminando!»
«Oh, sul serio?»
«Solo le macchine passano sempre da casa nostra, non è vero? Se è a piedi, significa che è scesa alla fermata della ferrovia qui vicino. Le persone che vengono da lì sono nostri visitatori, no?»
«Hai ragione.»
«Cioè, qui non succede mai niente! Quella donna sta venendo proprio qua!» Ann poi aggiunse: «Ho… la sensazione che questa non sia una cosa buona.»
«Siamo dei detective oggi, eh?» In contrasto con la frenesia di Ann, la madre concluse pacatamente.
«Non sto giocando! Chiudiamo tutte le porte e le finestre… Non dobbiamo far entrare questa bambola... questa giovane bambola! Va tutto bene, proteggerò io la mamma.»
La madre rivolse ad Ann, che con determinazione tirò su col naso, un sorriso teso. Probabilmente pensava fosse solo una bambina che raccontava sciocchezze. Nonostante ciò, alzandosi pigramente , decise di stare al gioco. Trascinando l'orlo della vestaglia color pesca sul pavimento, si fermò vicino alla finestra. Sotto la luce naturale la silhouette del suo corpo snello si intravedeva sotto il tessuto.
«Oh, ma non è una Auto-Memories Doll? Ripensandoci, doveva arrivare oggi!»
«Che cos'è una Auto-Memories Doll…?»
«Te lo spiegherò più tardi, Ann. Aiutami a cambiarmi!»
Pochi minuti dopo, la madre andò dalla figlia per prepararla con l'eleganza richiesta ad un membro della famiglia Magnolia. Ann non si cambiò d’abito, aveva solo un nastro abbinato al colore del suo camice sulla testa. La madre, d'altra parte, indossava un abito color avorio con volant di pizzo a doppio strato, uno scialle giallo chiaro sopra le spalle e orecchini a forma di rosa. Spruzzò nell’aria un profumo con trenta note floreali diverse e fece una giravolta, lasciandosi avvolgere da quelle fragranze.
«Mamma, sei emozionata?»
«Ancor più che se dovessi incontrare un principe straniero.»
Non stava scherzando. L’abito che aveva scelto era riservato solo per le grandi occasioni. Guardandola comportarsi in quel modo, Ann si agitò. Tale stato d’animo non era affatto piacevole.
Non va bene... andrebbe meglio se non ci fossero ospiti…
Normalmente i bambini, mentre si sentono un po’ nervosi, non vedono l'ora che arrivino dei visitatori, ma Ann era diversa. Questo perché, dal momento in cui aveva preso coscienza di ciò che la circondava, arrivò alla conclusione che tutti i visitatori che venivano per la sua ingenua madre l'avrebbero ingannata per impadronirsi del suo denaro. Era una persona spensierata e le visite la rendevano sempre felice, ma si fidava velocemente di chiunque. Ann l’amava, ma le scarse capacità nel gestire le finanze e lo scarso senso del pericolo della madre erano per lei problematici.
Anche una persona dall'aspetto di una bambola avrebbe potuto essere interessata a impossessarsi della loro residenza. Ma quello che infastidiva di più Ann era che, con un solo sguardo, poteva affermare che l'aspetto di quella donna era in perfetta sintonia con i gusti della madre. Non esisteva nulla di più sgradevole del fatto che fosse interessata a qualcuno diverso da lei.
Dato che sua madre aveva detto: «Voglio sbrigarmi e incontrarla!», smettendo di ascoltare Ann, le due erano uscite per salutare l'ospite; cosa che non facevano da molto tempo. Mentre uscivano in un mondo traboccante di luce, Ann assistette la madre rimasta senza fiato nel solo scendere le scale.
Il candore della pelle pallida di sua madre, che di solito si muoveva solo all'interno della dimora, spiccava fin troppo.
La mamma è… un po' più piccola di prima.
Ann non riuscì a vedere chiaramente il viso della madre a causa della troppa luce, ma sentiva che le sue rughe erano aumentate. Si strinse forte il petto. Nessuno poteva impedire alla morte di raggiungere quella mano malata.
Anche se era una bambina piccola, Ann era la sola erede della famiglia Magnolia dopo la madre. I medici le avevano già detto che la sua vita sarebbe stata breve. Le era stato anche detto di prepararsi. Dio non era clemente nemmeno con una bambina di sette anni.
In tal caso, voglio che sia tutta per me fino alla fine.
Se il suo tempo stava per scadere, Ann voleva che lo usasse tutto per lei. Nel mondo di una bambina con una tale mentalità, si intromise una sconosciuta.
«Mi scusi.» Qualcosa di ancor più radioso emerse dalla verde strada bagnata dal sole.
Non appena Ann la vide, la sua brutta sensazione fu confermata.
Ah, ecco quella che mi ruberà la mamma.
Perché aveva avuto quel pensiero? Guardandola, poteva dire che era stata la sua intuizione a parlare.
Lei era una bambola bella e affascinante. Capelli d'oro che brillavano come se fossero nati al chiaro di luna. Occhi blu che splendevano come gemme. Labbra di colore rosso luccicante così carnose da sembrare appena premute con forza. Sotto la giacca blu di Prussia, un abito a nastrini bianco come la neve e al collo una spilla verde smeraldo che non si abbinava al vestito. I suoi stivali a maglia marrone cacao calavano costantemente sul terreno. Posizionando sull'erba la borsa e l'ombrello, entrambe con le balze a strisce bianche e azzurre, lei mostrò di fronte alle due un portamento molto più elegante di quello di Ann.
«Lieta di conoscervi. Mi precipito ovunque per fornire qualsiasi servizio richiesto dal cliente. Sono l'Auto-Memories Doll, Violet Evergarden.»
La sua voce, tanto elegante quanto il suo aspetto, risuonava nelle loro orecchie. Dopo aver superato lo shock dell'essere sopraffatta dalla sua bellezza, Ann guardò la madre che, al contrario, era a suo agio. Aveva dipinta sul volto l’espressione di una bambina che si era appena innamorata, con le stelle che brillavano nei suoi occhi curiosi.
E, come previsto, non va affatto bene.
Ann pensava alla bellissima ospite come a qualcuno che le avrebbe potuto rubare la madre.
Violet Evergarden era una Auto-Memories Doll che lavorava nel settore della scrittura automatica. Ann chiese a sua madre perché avesse assunto qualcuno del genere.
«Voglio scrivere delle lettere a una persona, ma ci vorrebbe troppo tempo, quindi vorrei che lei le scrivesse per me.» Sua madre rise. In effetti, ultimamente faceva affidamento alle cameriere anche per fare il bagno. Scrivere per un periodo di tempo prolungato sarebbe stato sicuramente troppo difficile per lei.
«Ma perché proprio lei...?»
«È carina, non trovi?»
«Sì, ma…»
«È una celebrità nel settore. Il fatto che sia così carina e simile a una bambola è uno dei motivi della sua fama, ma si dice che faccia anche un ottimo lavoro! Inoltre, avere una donna che scrive lettere mentre siamo solo noi due e recitarle ad alta voce... Un uomo mi avrebbe messa sicuramente a disagio!»
Sua madre apprezzava la bellezza, e Ann era convinta che fosse il motivo principale per cui la giovane donna era stata scelta.
«Se sono solo lettere... Potrei essere io a scriverle.»
Alla dichiarazione, la madre rise nervosamente. «Ann, non riesci ancora a scrivere parole difficili. Inoltre… queste sono lettere che non posso farti scrivere.» Con quell’ultima affermazione fu chiaro per chi fossero quelle lettere.
Sicuramente intende scriverle per papà...
Il padre, in poche parole, le aveva abbandonate. Non era mai stato a casa e, benché non lavorasse molto, si era arricchito rilevando l'attività principale di famiglia. Apparentemente sua madre si era sposata per amore, ma Ann non ci credeva affatto. Non una volta aveva fatto visita a sua madre dopo che si era ammalata, e quando avevano creduto che sarebbe tornato, in realtà si era fermato solo per prendere vasi e dipinti dalla casa per poi rivenderli. Era un uomo meschino che si rifugiava nel gioco d'azzardo e nell'alcool.
In passato sembrava che fosse l’erede di una famiglia con un futuro promettente. Ma qualche anno dopo il matrimonio, la sua famiglia aveva affrontato dei piccoli problemi commerciali e si era sbriciolata, per cui le sue risorse finanziarie dipendevano da quelle della famiglia Magnolia. E, da quello che aveva sentito, sembrava che la ragione dietro quei problemi fosse proprio il padre.
Ann aveva mandato giù ogni difficoltà e aveva iniziato a disprezzare il padre. Anche se fosse caduto in disgrazia, non avrebbe dovuto continuare a fare del suo meglio? Non solo non l’aveva fatto, ma aveva anche fatto finta di nulla davanti alla malattia e alle necessità di sua madre, continuando a scappare. Questo era il motivo per cui l'espressione di Ann si distorceva solo ascoltando la parola "padre" uscire dalla bocca della madre.
«Fare questa smorfia... è uno spreco della tua graziosità.»
La piega tra le sopracciglia di Ann fu stesa dal massaggio di un pollice. Sua madre sembrava infastidita dal fatto che odiasse il padre. Sembrava che il suo affetto per lui fosse rimasto invariato, anche dopo essere stata trattata in un modo così orribile.
«Non pensare in modo così severo a tuo padre. Le brutte azioni non durano. Sta solo facendo ciò che desidera fare. Ha vissuto tutta la vita seriamente. È vero. Anche se i nostri percorsi sono leggermente diversi, se sapremo attendere pazientemente, un giorno tornerà da noi.»
Ann sapeva che quei giorni non sarebbero mai arrivati. E se anche lo avessero fatto, non aveva intenzione di accoglierli calorosamente. Se le cose fossero andate come sua madre aveva inconsapevolmente previsto, il fatto che lui non fosse andato a trovarla anche quando si era ammalata gravemente ed era stata ripetutamente ricoverata, non era da considerarsi come un'evasione dalla realtà, ma come un atto d'amore.
Probabilmente sapeva che non le era rimasto molto da vivere.
Si sta bene senza di lui in giro.
Era come se non fosse mai stato lì fin dall'inizio. Per Ann, sua madre era l'unica a meritarsi la parola “familiare”. Chiunque la rattristasse le era nemico, anche se si trattava del suo stesso padre. Lo era chiunque volesse rubare il suo tempo con lei. Anche se si trattava dell’Auto-Memories Doll arrivata su richiesta della madre. Sarebbe stata anche lei una nemica.
La mamma è mia.
Qualunque cosa che potesse distruggere il loro mondo veniva contrassegnata da Ann come nemico.
La madre e Violet iniziarono a scrivere le lettere sedute su un’antica panca bianca sotto un ombrellone di un tavolo sistemato in giardino. Violet, da contratto, sarebbe rimasta una settimana. Sembrava che la madre avesse davvero intenzione di farle scrivere lettere incredibilmente lunghe.
Forse erano indirizzate a più di una persona. Quando era in salute, era solita organizzare ricche feste e invitare molti amici nella villa. Tuttavia, attualmente, non aveva alcun contatto o rapporto con tali persone.
«Quindi non ha senso scrivere a loro…»
Ann non si avvicinò alle due, spiò le loro azioni nascondendosi, invece, dietro le tende. Le era stato imposto di non disturbare mentre venivano scritte le lettere della madre.
«C'è bisogno di privacy anche tra genitori e figli, non credi?»
Era una richiesta crudele per Ann, che le stava sempre incollata.
«Mi chiedo di cosa stiano parlando. A chi sta scrivendo? Sono curiosa…» Schiacciò la guancia contro la finestra.
Servire tè e spuntini non era compito di Ann, ma delle cameriere. Pertanto, non poté spacciarsi per una brava ragazza ed origliare le loro conversazioni. Tutto quello che poteva fare era guardare, proprio come non poteva far nulla per la malattia della madre.
«Mi chiedo perché la vita debba essere così…» Anche se tentava di recitare frasi da adulta, avendo solo sette anni, non sortiva alcun effetto.
Mentre continuava a osservarle con un'espressione annoiata, fu in grado di notare molte cose. Le due lavoravano molto silenziosamente, eppure a volte sembravano diventare piuttosto solenni o, altre, si divertivano molto. Nei momenti di gioia sua madre rideva ad alta voce mentre sbatteva la mano con forza. In quelli tristi si asciugava le lacrime su un fazzoletto prestato da Violet.
Era una persona dalle intense vicissitudini emotive. Nonostante tutto, pensò Ann, non stava aprendo troppo il suo cuore a qualcuno che aveva appena incontrato?
La mamma verrà ingannata di nuovo...
Aveva imparato la spietatezza, l'indifferenza, il tradimento e l'avidità delle persone attraverso la madre. Era preoccupata per lei, che era troppo veloce nel fidarsi delle persone. Avrebbe voluto che capisse semplicemente come essere sospettosa degli altri. Eppure, forse sua madre aveva intenzione di affidare all’Auto-Memories Doll, Violet Evergarden, tutti i misteri nascosti nel suo cuore.
Durante il suo soggiorno, Violet fu trattata da ospite. Per i pasti, la madre la invitò ad unirsi a loro, ma rifiutò. Quando Ann chiese perché, lei rispose freddamente: «Perché vorrei mangiare da sola.»
Ann pensava che fosse strana. Ogni volta che sua madre veniva ricoverata in ospedale, non importava quanto caldi fossero i pasti preparati dalle cameriere, non avevano alcun sapore. Il cibo che doveva mangiare da sola era troppo cattivo. Ecco come erano i pasti per lei.
Quando vide una cameriera consegnare la cena nella stanza di Violet, le disse che ci avrebbe pensato lei. Per conoscere il nemico, doveva prima interagirci.
Il pasto consisteva in pane morbido, zuppa di verdure con pollo e fagioli dai colori variegati, patate fritte e cipolle guarnite con sale, aglio e pepe, arrosto di manzo con salsa e sorbetto di pere come dessert. Quello era il solito in casa Magnolia. Anche se potrebbe essere considerato piuttosto lussuoso, ad Ann, che era cresciuta in un ambiente facoltoso, sembrava banale.
«Non ci sono dubbi sul fatto che la mamma sia stata superficiale nella scelta. Dobbiamo aumentare la quantità di carne per domani. E niente sorbetti; deve essere una torta. In un certo senso... è un’ospite.»
Da non dimenticare che l’ospitalità, a prescindere da tutto, era la specialità delle famiglie di buon nome.
Quando raggiunse una porta in legno di quercia, quella della stanza degli ospiti, chiamò, visto che le mani tenevano il vassoio, «Ehi, è ora di cena.»
Dall’interno provennero dei fruscii e, dopo un po’, Violet aprì la porta e sporse la testa.
Mentre lo faceva, Ann borbottò: «È pesante. Sbrigati e prendilo!»
«Sono mortificata.» Accettò immediatamente il vassoio scusandosi, ma poiché la sua espressione era fin troppo apatica, agli occhi di quella bambina sembrò inquietante.
Ann sbirciò attraverso la porta aperta dietro Violet, che posò il vassoio su una scrivania. La stanza degli ospiti era splendidamente decorata e le cameriere la pulivano regolarmente. Notò i bagagli sul letto. Era un trolley di cuoio pieno di adesivi dovuti allo sdoganamento di vari paesi. Era aperto, con una piccola pistola che sporgeva dall’interno.
Ah…
Nell’istante in cui si perse nei suoi pensieri, Violet tornò. Proprio come in uno spettacolo di pantomime, le due continuarono a muoversi in perfetta sincronia.
Alla fine, Violet perse la pazienza. «Una pistola è qualcosa di insolito per lei?»
«A cosa ti serve? Ma è vera?»
Non appena Ann chiese con eccitazione, Violet rispose: «L’autodifesa è una necessità per le donne che viaggiano da sole.»
«Cos’è l’autodifesa?»
«La protezione di sé stessi.» Mentre socchiudeva leggermente gli occhi, il corpo di Ann fremette al movimento di quelle labbra. Se fosse stata un po’ più grande, la ragazza avrebbe probabilmente interpretato quella reazione come un segno di attrazione.
Una donna capace di intorpidire le persone con parole e gesti era a dir poco magica. Ann si sentiva ancora più minacciata dal fascino di Violet che dal fatto che possedesse una pistola.
«Quindi tu... spari con quella?» Mentre imitava la forma di una pistola con le mani, il suo braccio venne immediatamente raddrizzato da Violet.
«La prego di stringere di più ai lati. Con una presa poco salda, non sareste in grado di resistere al rinculo.»
«Non fa niente… è un dito.»
«Anche così, potrebbe servirle da pratica per quando potreste averne bisogno.»
Cosa stava dicendo quella bambola a una bambina?
«Non lo sai? Le donne non dovrebbero usare queste cose.»
«Non c’è distinzione fra donne e uomini quando si tratta di usare le armi.» Violet rispose senza esitazione. Ann pensò che fosse veramente eccezionale.
«Perché la porti con te?»
«Il prossimo posto in cui dovrò recarmi è un’area di guerra, quindi... non si preoccupi. Non la userò qui.»
«Ci mancherebbe!»
A quell’atteggiamento brusco, Violet contrappose una domanda per curiosità: «Non sono presenti armi in questa dimora?»
«Le case normali non le hanno.»
Le lanciò uno sguardo perplesso: «Allora cosa fate se dovesse venire un ladro...?» Inclinò la testa. Sembrava davvero dubbiosa e in quel momento i suoi lineamenti da bambola si distinsero meglio.
«Se qualcuno del genere si presenta, tutti lo sapranno subito. In fondo, siamo in campagna. È successo lo stesso quando sei arrivata.»
«Capisco. Questo dovrebbe spiegare il basso tasso di criminalità nelle aree spopolate.» Nonostante fosse un’adulta, sembrava una bambina mentre annuiva come se quella fosse stata una lezione.
«Sei... un po’... strana.» Dichiarò tesa Ann puntando il dito indice verso Violet. Anche se lo aveva semplicemente detto per dispetto, in quell’istante gli angoli della bocca di Violet si sollevarono leggermente per la prima volta.
«Signorina Ann, non dovreste andare a dormire? Stare sveglie fino a tardi non fa bene alle donne.»
A causa del sorriso inaspettato, Ann fu spiazzata e non riuscì più a dire nulla. Dipinte di rosso, le sue guance gridavano la verità dietro alle sue palpitazioni.
«I- Io andrò a dormire. Dovresti dormire anche tu, altrimenti mamma ti sgriderà.»
«Ha ragione.»
«Se rimani sveglia anche più tardi, i mostri verranno a dirti che dovresti dormire.»
«Buona notte, Signorina Ann.»
Ann non sopportava più di stare lì o anche solo di stare in piedi, e corse via in tutta fretta. Mentre si allontanava, si rese conto che non resisteva alla curiosità e guardò indietro. Riuscì a vedere Violet dietro la porta, ancora un po’ aperta, tenere la pistola. Le sue espressioni erano per lo più impassibili, rendendo difficile carpire i suoi cambi d’umore. Anche se ancora giovane, con un solo sguardo, Ann poté capire quello che sembrava provare in quel momento.
Ah… è come se…
Era in qualche modo un lupo solitario. Incompatibilmente con il suo aspetto attuale, si era affidata ad un’arma brutale e feroce. Ann non riusciva quasi ad immaginare di potersi affezionare a lei, eppure si stava abituando ai guanti neri avvolti attorno alle mani di Violet. E mentre stringeva la pistola con quelle stesse mani e ne premeva il bordo contro la fronte, sembrava una pellegrina in preghiera. Girando dietro l’angolo della sala, le orecchie di Ann riuscirono a coglierla.
«La prego, mi dia un ordine.» Disse a qualcuno.
Il petto di Ann cominciò improvvisamente a battere più forte.
Il mio viso è caldo. Punge.
Non capì molto bene perché il suo cuore battesse così rapidamente, ma aveva colto in Violet uno scorcio del lato adulto di una donna.
Che strano. Anche se non mi piace, mi incuriosisce.
L’interesse era solo un passo dietro all’amore. Ann non sapeva ancora che, a volte, sentimenti come “amore” e “odio” si possono facilmente invertire.