Esplorando la Città

Ieri ho pianto, pianto e pianto ancora. I miei genitori si erano arrabbiati poiché avevo buttato a terra la loro coperta e, arrivata l'ora di cena, ho continuato a piangere senza reagire più di tanto. Quando arrivò il mattino, avevo pianto così tanto che i miei occhi erano secchi e gonfi. La testa mi pulsava dal dolore.

La febbre era scesa e non mi sentivo debole come prima. Nel complesso andava molto meglio perché avevo dato sfogo a tutte le mie lacrime. Anche se la mia famiglia non sapeva come comportarsi con me a colazione.

«Mhmm, sembra che la febbre si sia abbassata.» Mia madre mi toccò la fronte con una mano fredda per aver lavato i piatti. La posò delicatamente anche sui miei occhi gonfi. Il freddo era davvero piacevole. «Se ti senti meglio, Myne, verresti al mercato con me? Oggi ce n’è uno.»

Aspetta... ma non aveva detto qualcosa riguardo al fatto che questo fosse il momento più impegnativo dell'anno per il suo lavoro di tintura e che doveva andarci anche se ero malata?

Notando la mia perplessità, abbassò gli occhi con aria afflitta. «È da tanto che Tuuli non ha la possibilità di uscire fuori perché deve badare a te ed era così preoccupata ieri perché non la smettevi di piangere. L'unica cosa a cui abbiamo pensato era che magari ti saresti sentita triste a star da sola, così ho fatto uno sforzo per convincere i miei colleghi a sostituirmi oggi a lavoro.»

Dopo aver sentito ciò, ansimai. Non posso credere di aver davvero pianto tutto il giorno davanti a delle persone! Voglio scavarmi una fossa e sotterrarmici. Non c’è nulla di peggio che ritornare in sé e rendersi conto di quanto ci si sia messi in imbarazzo il giorno precedente.

«Uhm, scusa.»

«Non devi scusarti, Myne. Tutti noi ci sentiamo affranti quando siamo malati.» Mi accarezzò la testa con tenerezza, consolandomi, ma più era gentile più mi sentivo in colpa.

Mi dispiace, mi dispiace tanto. Ho pianto solo per lo sconforto dovuto alla mancanza di libri. Non mi sentivo sola senza di voi. Tuuli era così preoccupata per me, ma io volevo solo che se ne andasse così da poter mettermi alla ricerca di libri. Mi dispiace davvero.

«Tuuli sta andando alla foresta con tutti gli altri, ma tu sei troppo debole per accompagnarla. Vorresti venire a fare compere con la tua mammina?»

«Uh uh!»

«Mi chiedo da dove provenga tutto questo entusiasmo.» Sorrise allegramente, pensando fossi entusiasta di trascorrere del tempo con lei e le risposi sfoderando uno dei miei sorrisi smaglianti. «Hahaha, lo sapevo che ti sarebbe piaciuto.»

Sembrava così contenta che non me la sentivo di contraddirla; il mio entusiasmo era dovuto solo alla possibilità di poter trovare dei libri altrove.

Sarei andata a fare compere con lei e mi sarei fatta comprare un libro. Non avevo bisogno di uno voluminoso. Mi bastava qualsiasi cosa potessi utilizzare per imparare il sistema di scrittura. Onestamente, mi sarebbe bastato anche un libro di esercizi per bambini. E, se fosse stato chiedere troppo, mi sarei accontentata di una tabella con l'alfabeto di questo mondo o qualcos'altro.

Sono sicura che se dicessi: «Non mi sentirei sola se avessi un libro! Starò a casa tutto il giorno, ogni giorno!» con voce carina, mi comprerebbe uno o due libri illustrati per accontentare la sua piccola bambina malata. Hehe. Non vedo l’ora.

«Va bene, mamma. A più tardi!» Tuuli sbucò nella camera da letto con un enorme sorriso. Dal momento che la mamma era a casa, non doveva badare a me tutto il giorno.

«Resta con gli altri bambini, intesi? E fai attenzione.»

«Va beeeene.» Tuuli si legò una cesta alla schiena e uscì di corsa. Poteva sembrare che stesse uscendo per giocare e divertirsi, ma in realtà stava aiutando la sua famiglia facendo qualcosa di importante: raccogliere legna da ardere. Avrebbe preso anche noci, funghi ed altro mentre era fuori. Se avevamo o meno pasti buoni ed economici ogni giorno, dipendeva in larga parte da lei.

Uhm... Metticela tutta, Tuuli! Il mio pranzo conta su di te!

Questo mondo oppresso dalla povertà non aveva scuole, così i bambini per lo più aiutavano le loro famiglie o lavoravano. O almeno, le scuole non erano contemplate nei ricordi di Myne. I bambini, una volta diventati un po’ più grandi di Tuuli, iniziavano a lavorare come apprendisti. Se avessi potuto scegliere, avrei preferito lavorare come apprendista bibliotecaria o apprendista libraia. Andare al mercato mi avrebbe dato l’opportunità perfetta per raccogliere informazioni di questo genere. Avrei trovato la libreria più vicina, sarei diventata amica del proprietario e sarei diventata apprendista lì.

«Va bene, Myne. Andiamo a fare compere.»

Era la prima volta che lasciavo casa da quando ero diventata Myne e la prima volta che indossavo qualcosa di diverso dal pigiama. Il mio abbigliamento consisteva in vecchi abiti logori appartenuti a Tuuli e avevo dovuto mettere più strati di quei vestiti pesanti. Ero talmente infagottata che avevo difficoltà a camminare ma, nonostante ciò, presi la mano della mamma e feci il mio primo passo fuori da casa.

...Che freddo! Quant’è stretto! Che puzza! Magari poiché era una struttura in pietra, sembrava che l’aria fredda provenisse dai muri stessi, e nemmeno i miei strati di vestiti potevano impedirmi di sentire freddo. Avrei davvero voluto un giaccone o degli scaldamani. Per non parlare di una mascherina che mi impedisse di sentire la puzza e che mi proteggesse dal raffreddore.

«Myne, fai attenzione a non cadere.» Proprio fuori da casa nostra c’era una scala che portava all’uscita dell’edificio. Il mio corpo aveva le dimensioni di quello di un bambino di tre anni, e ogni gradino era così alto che mi riempiva di terrore. Dato che mamma mi tirava avanti, praticamente saltavo da un gradino di legno all’altro, passo dopo passo, ascoltando lo scricchiolio che producevamo scendendo la scala fino alla fine dell’edificio. Per qualche ragione, solo i gradini dal secondo piano in giù erano in pietra rifinita.

Viviamo nello stesso edificio, perché riservare a loro un trattamento speciale? Serrai le labbra, mettendo il broncio, mentre raggiungevamo la fine delle scale e uscivamo fuori. Se avevo contato bene, noi vivevamo nell’appartamento al quinto di sette piani. Ad essere onesti, per qualcuno debole, piccolo e malato come me, il solo uscire fuori di casa era abbastanza da sfiancarmi. Capivo perché la maggior parte dei miei ricordi si svolgevano al chiuso. Anche ora, arrivata giù, ero già senza fiato. Pensavo proprio che sarei crollata prima di raggiungere la nostra destinazione.

«Ahhh, ahhh. Mamma, aspetta. Faccio fatica a respirare.»

«Ma se siamo solo uscite di casa. Stai bene?»

«Ho solo... bisogno di una piccola pausa...»

Nel regolarizzare il mio respiro e ricordare a me stessa che avrei dovuto rimettermi in sesto se avessi voluto raggiungere una libreria, mi guardai intorno per studiare l’ambiente che mi circondava. A poca distanza dal nostro palazzo c’era una piccola piazza con un pozzo nel mezzo. Solo il pavimento attorno al pozzo era lastricato in pietra e vi erano molte donne anziane intente a parlare mentre lavavano i loro panni. Era sicuramente il pozzo che Tuuli utilizzava per attingere l’acqua ogni giorno e lavare i piatti.

«Ti porto in braccio, Myne.»  Mia madre, che doveva aver pensato che le nostre compere non si sarebbero mai concluse se avesse perso tempo ad aspettarmi, mi assicurò alla sua schiena e iniziò a camminare. Non avevo alcun ricordo di un evento del genere, ma considerando che aveva un qualcosa di simile ad un telo porta bebè sulla schiena, probabilmente era abituata a portare in giro Myne in quel modo.

La piazza col pozzo era circondata da un grosso complesso di condominii su tutti e quattro i lati, e solo una stradina che portava fuori. Dopo essere passati per un vicolo angusto e oscuro, ci immettemmo in una strada larga.

Wow! Sembra esattamente una di quelle vecchie città europee che ho visto in foto. Davanti si presentò una scena a me sconosciuta, con carri trainati da creature simili a cavalli e asini che passavano l’uno accanto all’altro su un’ampia strada acciottolata ricca di negozi da ambedue i lati. Mi girai da tutte le parti, guardando ovunque come una turista alla ricerca di una libreria.

«Mamma, in quale negozio stiamo andando?»

«Cosa dici, Myne? Andiamo al mercato. Non andiamo quasi mai nei negozi.» Stando a quanto diceva, molti dei negozi situati a livello del suolo vendevano prodotti per persone benestanti e ben poche cose per gente come noi. Compravamo la maggior parte dei prodotti che ci servivano al mercato.

Mhmm, in altre parole, una libreria potrebbe essere un negozio come quelli? Mi guardai intorno ricercandola mentre mia madre camminava, e presto vidi un edificio che spiccava fra tutti. Era fatto di pietra bianca e nonostante la sua semplice architettura aveva una certa maestosità che lo faceva risaltare.

«Uhm, è un castello quello?»

«No, è il tempio. Ci andrai per essere battezzata una volta che avrai compiuto sette anni.»

Aaaah... un tempio. Sembra che qui la religione venga imposta, il che fa schifo. Cercherò di evitare quel posto per quanto mi è possibile.

Il mio istinto e le mie conoscenze derivanti dalla mia vita precedente mi inducevano a porre una certa distanza tra me e la religione. Ma non sapevo se questo mondo sarebbe stato gentile con un’atea, dunque decisi di tenere la bocca chiusa e ammirare le mura che circondavano il tempio.

«Mamma, cosa sono quelle mura?»

«Sono i bastioni del castello. All’interno c’è il castello dove vivono i nostri signori e le magioni abitate dai nobili. Beh, insomma, nulla dietro queste mura ha molto a che vedere con me e te.»

Le alte mura di pietra ricordavano molto di più l’ingresso di una prigione che un posto abitato dalla nobiltà. Forse sarebbe sembrata ancor di più una prigione se le guardie fossero state sempre all’erta per difenderlo. Le bianche mura si estendevano su entrambi i lati, e nonostante sembrava fossero state ideate con imponente solennità senza alcun elemento artistico, non davano la sensazione delle mura rozze di una fortezza. Sembravano quasi costruite solo con lo scopo di separare, senza alcuna utilità difensiva in caso di attacco.

Mhmm... sembrano diverse da quelle dei castelli europei che ho visto nei film storici.

«Va bene, mamma. E quelle altre?»

«Quelle sono le mura esterne. Proteggono la città. Sai che Gunther lavora come guardia all’entrata sud, no?»

Sapevo, grazie ai ricordi di Myne, che mio padre lavorava come soldato, ma non sapevo facesse la guardia ad una delle entrate della città.

Mhmm... Ci sono un castello abitato dai signori di queste terre, mura esterne ed interne. Penso che si possa azzardare a considerarla una capitale. Non sembra davvero grande come città a giudicare dalla lunghezza delle mura e dal numero di persone vedo in giro. Ma non dovrei confrontarla con una metropoli come Tokyo o Yokohama.

Sarebbe una città enorme in confronto alle antiche città-fortezza di cui ho letto nella mia vita precedente, ma in quel mondo dove era normale avere i capelli verdi e blu, non c’era alcuna garanzia che le conoscenze da Urano sarebbero state valide. Sarebbe rischioso azzardarsi a definirla come piccola o grande prima di imparare qualcosa di più su quel mondo.

…aaah, la dimensione di una città è importante per stabilire che tipi di librerie ha, ma non capisco cosa renda una città grande qui! Questa è grande?! O è piccola?! Qualcuno me lo dica, per favore!

«Myne, dobbiamo sbrigarci a raggiungere il mercato, altrimenti tutti i prodotti migliori verranno presi prima che arriviamo.»

Mi guardai intorno alla ricerca disperata di una libreria lungo il nostro cammino verso il mercato, ma la maggior parte dei negozi avevano semplici disegni sulle loro insegne. I cartelli erano di legno dipinto o di metallo inciso, ma in ogni caso non vedevo nulla che ricordasse delle lettere. Certo, era una cosa positiva per qualcuno come me che non sapeva leggere, ma sentii un brivido percorrermi la schiena.

...Un momento. Uhm, penso di non aver visto una singola lettera nell’intera città. Il tasso di alfabetizzazione è così basso? O la scrittura stessa non esiste in questo mondo? Al solo pensiero sentii il sangue raggelarsi nelle vene. Non avevo considerato la possibilità di un mondo privo di lettere. Senza lettere, i libri non sarebbero potuti esistere.

Raggiungemmo il mercato mentre ero ancora scossa. Alzai la testa in direzione della cacofonia di rumori che avvertivo e vidi un animato gruppo di bancarelle allineate l’una accanto all’altra con un bel numero di persone che passavano nel mezzo. Assomigliava così tanto ad un festival giapponese che avvertii un po’ di nostalgia. Sorrisi inconsciamente, e dopo aver sbirciato una bancarella di frutta lì vicino, vidi qualcosa che mi sconvolse così tanto da farmi colpire la spalla di mia madre.

«Mamma, guarda! Cos’è quel cartellino?!» Un cartellino con dei simboli scritti su di esso era posto in una scatola con della frutta all’interno. Non riuscivo a leggerli, ma comunque mi confermavano che questo mondo aveva delle lettere o dei numeri o qualcos’altro. Ero così affamata di lettere che la sola vista di quei simboli era abbastanza da illuminarmi il viso.

«Oh, è il prezzo. Ci dice quanto dobbiamo pagare.»

«Ehi, mamma. Cosa dice?»

Sembrava stupita dal mio entusiasmo, ma a me non importava. Le feci leggere ad alta voce ogni etichetta che vedevo e ogni numero nuovo si collegava a quelli che già conoscevo.

Benissimo! Datevi da fare, mie preziose sinapsi!

«Va bene, quindi questa dice trenta Lion?» Dopo che mamma mi aveva letto vari numeri, provai a leggerne alcuni da sola mentre studiavo la sua reazione. Doveva essere giusto considerato come si voltò per guardarmi sbattendo gli occhi più volte incredula.

«Sono colpita che tu li abbia imparati così in fretta, Myne.»

«Eheh.» C’erano dieci differenti simboli che dovevano essere numeri, così ho dedotto che sarebbe bastato operare in base 10. Sono sollevata che non utilizzino base 2 o base 60. Dovrei essere in grado di fare i calcoli senza problemi se riuscissi a memorizzare tutti i simboli.

...Oh, aspetta, non starò mica diventando un bambino prodigio? All’età di dieci anni sarò considerata un dono di Dio elargito all’umanità e a quindici un genio, ma una volta compiuti i vent’anni sarò solo una persona normale. Oh, vabbè.