Il Primo Amore è una Brutta Malattia che Affligge Tutti

Parte 2

Kianoides era una città di canali.

Con ramificazioni che si estendevano verso i quattro lati del continente, doveva la sua prosperità alla distribuzione dei beni effettuata utilizzando imbarcazioni che navigavano su quegli stessi canali. Non era volta solo al commercio, ma era anche un punto di ritrovo per diverse razze.

Oltre agli umani, c’erano i teriantropi che possedevano zanne e pelliccia proprio come gli animali. Gli aviani, con delle ali sulla schiena. Ed i nani, che nonostante la bassa statura e l’aspetto rozzo, andavano fieri dei loro manufatti riccamente decorati.

Con ognuna di queste razze che sbandierava sui velieri il proprio stemma, nemmeno il vento che soffiava nei canali riusciva a cancellare il profumo della terra da quel viavai e da tutta quella frenesia. Era una delle città più prospere dell’intera nazione. Si diceva anche che, in un solo giorno, andassero e venissero più di un milione di persone.

Proprio in quel posto c’erano fila di individui che portavano collari attorno i loro colli e legati gli uni agli altri con delle catene.

Schiavi.

Tra di loro non c’erano solo umani e chi li guidava non era necessariamente umano. Un nano picchiava un grande uomo con un bastone, e sottomessa, c’era anche una bellissima donna aviana. C’era addirittura un teriantropo che beveva del latte in una ciotola lasciata per terra, come un cane.

Una parte di loro sarebbe stata venduta all’asta, esattamente come fossero stati oggetti.

La differenza tra chi era o non era schiavo risiedeva esclusivamente nelle proprie ricchezze o nel proprio potere, oppure dalla buona o cattiva sorte.

Poiché Zagan non voleva finire a quel modo era alla disperata ricerca del potere. Era anche questa la causa del suo cinismo.

Alla fine, borbottò qualcosa fra sé e sé.

«Avverto… una strana sensazione nell’aria.» Era l’atmosfera della città.

Non era la prima volta che si recava a Kianoides, ma i Cavalieri Angelici della chiesa pattugliavano ogni dove. Avvertiva anche la paura che albergava nella gente del posto, e l’aria era satura di una sorta di indignazione, come se ci fosse qualcosa che normalmente non avrebbe dovuto esserci.

Barbatos scoppiò a ridere nell’ascoltare quelle parole, come se le trovasse divertenti.

«Sembra che qualche idiota stia collezionando solo giovani donne per usarle in qualche esperimento, non credi?»

«Sacrifici? Stanno giocando col fuoco?» Offrire qualcuno in sacrificio era un modo per manipolare la magia senza utilizzare i propri poteri. Un catalizzatore magico, un’usanza abbastanza comune.

Tuttavia, organizzare dei sacrifici su tale scala richiedeva l’acquisto di un gran numero di schiavi o la necessità di rapire orfani dall’identità sconosciuta. Come minimo, occorreva nascondere le proprie tracce.

Zagan non riusciva a comprendere il significato di tali azioni che comportavano il rischio di attirare le attenzioni della chiesa. Era come intraprendere una battaglia con la Chiesa stessa.

Barbatos scrollò le spalle.

«E chi può dirlo? Se si inizia a reprimersi fin da piccoli, prima o poi verrà naturale fare cose come rapire le donne, non credi?»

«Vogliono evocare un demone o qualcosa del genere?»

“Demone” nelle fiabe era il nome attribuito alla creatura alata e munita di corna. Non era ancora ben chiaro se esistessero indizi della loro esistenza, ma c’erano comunque tracce della presenza, in questo mondo, di un “qualcosa” a metà fra le divinità e i diavoli.

Se una cosa del genere fosse stata evocata, sarebbe stato necessario un rituale come quello descritto da Barbatos. Tuttavia, Zagan lo considerava niente più di un brutto sogno.

Fece un’espressione esasperata, e Barbatos continuò la sua risata compiaciuta.

«Ciò mi riporta alla mente che tu, caro mio, sei uno dei sospettati, lo sai?»

«Che scemenze. La magia che richiede un sacrificio è inutile in caso di emergenze, non è così?»

«Hehehe, stavo scherzando. Anche se non credo esistano persone strane che potrebbero andare d’accordo con te.» Dopo aver sentito quelle parole, Zagan scrollò involontariamente le spalle.

Non che abbia bisogno degli altri.

Stava sempre per conto suo. Era abituato. Anche se stavano parlando di tutt’altri argomenti, il loro obiettivo non era fare i turisti.

Barbatos guidò Zagan in un rifugio fra i sotterranei della città. Erano delle antiche rovine, i resti di quella che sembrava un’arena abbandonata. Una parte era stata sistemata ed era un luogo in cui si commerciavano beni che non potevano essere venduti in superficie.

La sede dell’asta sarebbe stata una porzione dell’arena stessa. Usando la struttura circolare del palco, gli ospiti si sarebbero seduti attorno ad esso. Sembrava che fosse già iniziata, e nell’aria risuonava il suono delle voci che urlavano numeri.

L’unico posto illuminato era il palco e nemmeno una candela era stata disposta lungo le file dei partecipanti. Non voleva essere un atto di scortesia, ma un’accortezza per evitare che i presenti si potessero riconoscere fra di loro.

…Non che significasse qualcosa per uno stregone.

Non appena presero posto, Barbatos fischiò.

«Guarda, guarda, Zagan. Kimaris la Lama Nera, e laggiù c’è Gremory l’Incantatrice. Più in là Valefor l’Apparizione.» Con le luci ancora spente era naturale per tutti coloro che si definivano stregoni ricorrere alla magia per riuscire a vedere nell’oscurità.

Zagan guardò nelle direzioni indicate e notò l’ombra di diverse figure avvolte da una straordinaria atmosfera.

Non riuscì a identificarli, ma erano tutti stregoni di una certa fama. Gli umani erano la razza più comune, ma non l’unica. Kimaris la Lama Nera era un teriantropo dalla folta chioma. Valefor l’Apparizione celava il suo intero corpo con un mantello, un cappuccio ed una maschera in volto così da nascondere anche la razza di appartenenza.

Lama Nera e altri appellativi erano il secondo nome degli stregoni. Si potrebbe dire che fossero i loro titoli. Questi venivano conferiti a coloro che dimostravano di possedere grandi capacità.

Il più famoso era probabilmente quello dell’Arcidemone Marchosias, l’Anziano. Lo stesso Barbatos era conosciuto sotto il nome di Purgatorio.

Anche Zagan era uno stregone di una certa fama, ma non gli era stato ancora conferito alcun titolo.

In parte perché era diventato stregone a soli 18 anni ma, principalmente, perché colui che supervisionava l’intera area, l’Arcidemone Marchosias, era passato a miglior vita. Spettava, infatti, all’Archidemone assegnare il secondo nome, ma era morto prima di poterne dare uno al ragazzo.

In parole povere, il secondo nome era la prova tangibile del proprio potere.

Sebbene non li conoscesse personalmente, provava un vago interesse verso quegli stregoni che ne possedevano uno.

«Sono forti?»

«Estremamente. Come me e te, sono tutti nomi proposti come candidati per diventare il prossimo Arcidemone.» Al momento, a causa della dipartita di Marchosias, rimaneva un posto libero.

Si era tenuta una riunione fra i restanti Arcidemoni per decidere chi dovesse ricoprire quella carica, ma significava sceglierne uno fra gli indicati dalle maggiori potenzialità.

«Nel caso in cui quel lotto venisse battuto, vorrà dire che le voci sull’eredità erano fondate, non credi?»

«Me lo auguro.» Se non fosse stato così, non avrebbe avuto senso rinunciare al suo riposino.

Nel frattempo, l’asta stava procedendo.

«A tutti coloro che sono giunti fino a qui, oggi. Il prossimo pezzo sarà il lotto finale del giorno, nonché il più prezioso!» Ascoltando la voce del banditore, Barbatos si sporse in avanti emozionato.

«Bene, sembra che ci siamo, Zagan.»

«Sì.» Non era sicuro che si sarebbe trattato dell’eredità dell’Arcidemone, ma quello era il momento dell’entrata in scena del pezzo forte.

E ciò che si levò sul palco fu… una persona dalla statura minuta con un cappuccio che le copriva la testa. Un lungo mantello le arrivava fino ai piedi cosicché anche la razza fosse celata. Non era bassa come i nani, ma se fosse stata di un’altra razza, avrebbe avuto l’altezza di un bambino.

Quanto all’eredità, era custodita da quella persona incappucciata? Non appena l’attenzione di tutti i presenti si concentrò su quella figura, il banditore iniziò a parlare.

«Quello che abbiamo qui è la mercanzia che doveva essere originariamente consegnata all’Arcidemone Marchosias. Purtroppo, prima di riceverla è perito, e date le circostanze, ci è stata rimandata indietro.» Udendo quelle parole, Barbatos fece una smorfia.

«Quindi non è l’eredità?»

«Probabilmente sarà uno dei suoi catalizzatori.»

Era qualcosa di molto più complesso rispetto al semplice disegnare un cerchio magico o recitare un incantesimo. Infatti, esistevano diverse occasioni in cui quegli oggetti potevano essere utilizzati. Dall’inchiostro usato per disegnare i cerchi magici, agli ornamenti che indossati dagli stregoni, ai sacrifici per rafforzare il proprio potere.

Questi strumenti erano chiamati catalizzatori, e maggiore era la loro qualità, maggiore era il potere che veniva conferito all’utilizzatore.

Era una sfortuna che non si trattasse dell’eredità, ma l’interesse di Zagan era catturato dal fatto che il catalizzatore fosse stato scelto dall’Arcidemone in persona.

Subito dopo, il mantello venne rimosso. E fu rivelata… una bellissima ragazza con delle lunghe orecchie a punta

La riconobbe con un singolo sguardo. Apparteneva alla razza leggendaria che viveva nel Nord, una terra in cui nessuno avrebbe mai potuto mettere piede. Un elfo.

Aveva lunghi capelli color neve che le giungevano alla vita, ed un fiocco color cremisi che le adornava il capo. Aveva un viso piccolo e dei grandi occhi azzurri del colore del cielo estivo. Le sue labbra erano di un tenue rosa pallido. Un vestito bianco copriva le sue membra delicate ed il portamento che ricordava la figlia di un nobile.

Aveva delle catene attorno a mani e piedi, ed un collare per sigillare il mana stretto al collo.

Guardando gli occhi di quella ragazza, Zagan sentì il cuore trepidare. Percepì una strana sensazione che partiva dalle estremità dei piedi fino a raggiungere la punta dei capelli.

Occhi profondi… vuoti.

Occhi in cui non si rifletteva più nulla, che non pensavano a nulla. Erano gli occhi di qualcuno che si era arreso al futuro.

Eppure, per qualche ragione, Zagan non fu più in grado di distogliere lo sguardo da loro.

«È un membro della razza leggendaria, un elfo catturato nel Nord! E non solo, come potete vedere, ha dei lunghi capelli color neve. Non sono stati tinti. È un vero elfo dai capelli bianchi!» Piuttosto che esseri viventi, si diceva che gli elfi fossero più vicini agli spiriti o alle divinità.

Indipendentemente dalla razza, gli individui dai capelli bianchi erano considerati speciali: molti di loro possedevano enormi quantità di mana.

Sacrificarne uno poteva rendere possibile il raggiungimento del potere proprio di un Arcidemone.

Non appena il banditore si avvicinò all’elfa, ne raccolse i capelli con il dito.

«Ed è anche una donna niente male. Non solo la si potrebbe usare come sacrificio, ma ha anche un grandissimo potenziale come animaletto domestico. Miei cari ospiti, qualunque cosa vogliate farne, è a vostra più totale discrezione!» E poi terminò la sua spiegazione a gran voce.

«Senza ulteriori indugi, l’asta parte da diecimila…»

«Un milione.» Prima ancora di rendersene conto, Zagan fece la sua offerta.

Cos’è questo dolore lancinante al petto?

Piacevole… Era giusto definirlo così?

Voleva salvare quell’elfa che stata lì in piedi. Voleva vederla sorridere. E poi, desiderava toccare la sua pelle.

Impulsi che non aveva mai provato prima iniziarono a risvegliarsi.

L’arena calò nel più assoluto silenzio. E poi, sottovoce, Barbatos ebbe uno spasmo guardando Zagan.

«Zagan, ma cosa…?»

«Un milione di Curioti d’oro.» Formulò per intero.

Il banditore sconcertato si riprese dallo shock e alzò la voce mentre si asciugava il sudore dalle sopracciglia con un fazzoletto.

«Mille grazie! È una splendida somma di denaro! Un milione! C’è qualcuno che offre di più? Nessuno?» Siccome gli stregoni si concentravano esclusivamente nella ricerca, avevano una spiccata tendenza ad accumulare ricchezze.

Indipendentemente da quanto accumulassero, un milione era una cifra che non si vedeva molto spesso. Anche se si veniva in possesso di una somma del genere, e molti ci riuscivano, spenderla avrebbe significato non poter continuare le proprie ricerche. Si trattava di una cifra considerevole.

«Zagan, che ti passa per la testa? Anche se è per un elfo, stai gettando via tutti quei soldi…»

«C’è qualcosa che ho sempre desiderato, ma non ho mai capito cosa fosse. Finalmente mi sento come se l’avessi trovata.» Senza sapere come spiegare quella sensazione, Zagan borbottava come se stesse delirando.

Tuttavia, guardando nei suoi occhi illuminati da un fuoco ardente, appariva estremamente malvagio. Come era prevedibile era in preda ai suoi più profondi desideri.

Spaventato, Barbatos spalancò gli occhi.

«Per quale diavolo di magia vorresti utilizzarla?» Non aveva ben compreso la situazione.

Zagan spiegò scuotendo la testa.

«Non è come credi. Potrei averla comprata per qualcosa di diverso. Non so come spiegarlo ma cerca di capire.»

«Stai dicendo che pensi di ottenere il potere senza ricorrere alla magia...?» Il modo con cui Zagan spiegò la cosa parve leggermente fuorviante, e Barbatos iniziò a tremare dalla paura.

Capì che se avesse continuato a parlare, i fraintendimenti sarebbero aumentati. Sorrise come per ammettere l’esistenza di un altro significato, ma anche quel gesto spaventò a morte l’amico. Somigliava al sorriso del demonio.

Con un tonfo, Barbatos crollò a terra. Era come se la sua colonna vertebrale fosse stata rimossa.

Ha frainteso di nuovo? Mentre il lato razionale del suo indesiderato amico andava alla deriva, il suono del martelletto dichiarò l’offerta vincitrice dell’asta.

«Congratulazioni! Si aggiudica, l’elfa dai capelli bianchi, lo stregone, Zagan!» Zagan non ricordò di essersi mai presentato, ma il banditore aveva indovinato correttamente il suo nome guardandolo in volto. Ciò indicava quanto fosse ben conosciuto in quegli ambienti, ma nulla di tutto ciò importava.

Non appena si alzò dal posto, lasciando dietro di sé Barbatos sciolto sul pavimento, invocò la magia del volo.

Sorvolando gli spalti, atterrò dolcemente sul palco.

Si fermò di fronte alla ragazza che continuò a guardare in basso senza alzare lo sguardo.

E ora? Cosa dovrei dirle? Era riuscito a volare fin lì, ma non aveva minimamente riflettuto sul passo successivo.

E mentre si sentiva di colpo a disagio, il banditore iniziò a parlare con voce convincente.

«La prego di procedere al pagamento. È davvero un’elfa fortunata per essere stata vinta dal rinomato stregone Zagan, non crede? Inoltre, sia il vestito che il collare blocca mana sono nostri doni. Se lo dovesse rimuovere c’è il rischio che scappi, le raccomando di prestare attenzione.»

«Sì.» Zagan non aveva ascoltato quelle parole, ma si era limitato a dare una banale risposta di assenso.

Riuscirà almeno a guardarmi? No, sarà spaventata. Non sarà stata mica…? Essendo molto bella, esistevano molte esperienze disgustose che avrebbe potuto vivere. C’era anche quella ragazza del mattino che aveva riportato alla mente di Zagan dei pensieri orribili.

In preda all’ansia, le portò la mano al mento.

Aveva la pelle liscia come la seta. Capì in quel momento il disagio di poterle lasciare dei segni solo toccandola.

Nonostante ciò, ci provò nel modo più delicato possibile e le sollevò leggermente il volto.

Quegli occhi vuoti lo fissarono.

Un sospiro involontario uscì fuori dalla sua bocca. Com’era prevedibile, era davvero bella.

Tuttavia, gli sembrò che non riuscisse a mettere a fuoco. Si domandò anche se i suoi occhi fossero capaci o meno di vederlo. No, sembrava che non ci fosse nemmeno volontà propria nella ragazza

Sta bene? Non la staranno mica manipolando…? Le magie che privavano e derubavano la forza di volontà non erano poi così rare.

Non appena Zagan impallidì, il banditore parlò con voce nervosa.

«Sommo Zagan? Ha trovato… qualche problema con la merce?»

«...Ha una propria volontà?» Dalla sua gola tremante uscì una voce irata, più che nervosa. Era arrivato al punto da chiedersi cosa lo facesse arrabbiare così tanto.

Il banditore annuì come a intendere che avesse compreso la situazione.

«La prego, si tranquillizzi. Questa elfa aveva un carattere docile quando è stato catturato, ed è stato custodito nel suo stato naturale. Inoltre, questo esemplare possiede una grandissima quantità di mana e qualsiasi magia comune non avrebbe effetto. Pertanto, le garantisco la sua purezza.»

Nel caso fosse stata utilizzata come sacrificio, se la sua mente fosse stata manipolata con la magia, ciò avrebbe causato un’impurità nel rituale riducendone la potenza effettiva. Probabilmente il banditore aveva pensato che Zagan fosse preoccupato di quell’aspetto.

Comunque, dando un’occhiata alla ragazza vestita bene come una nobildonna, non sembrava ci fosse traccia di ferite. Se fosse stata trattata come schiava, il personale dell’asta era stato ben accorto nel non lasciare tracce visibili sulla “merce”. Era ragionevole credere a quelle parole.

Zagan, infine, si lasciò andare ad un sospiro di sollievo.

«Voglio crederti. Sarebbe un gran problema se non fosse in grado di cinguettare con la sua bella voce.» Cercò di spiegarsi in modo da rendere le sue intenzioni trasparenti... ma suonò pretenzioso e candidamente pericoloso.

Il banditore si ritrasse, bianco in volto.

Gli parve che anche la ragazza si contorcesse tremante dalla paura.

Ah, perfetto. Almeno sembra che riesca a sentire quello che dico.

Raggiungendo la tranquillità con quella scoperta, Zagan non si rese conto di quanto fossero state fuorvianti le sue stesse parole.

Questo fu il vero primo amore di un uomo che qualche ora prima pensava che le donne fossero solamente una seccatura.